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L’importante per me è esserci: Storia di Eleonora e della sua lotta contro il cancro al seno

photocredits: www.lettoaquattropiazze.it
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E’ una donna bellissima, con all’attivo un blog, la passione per la pittura, un marito e due bambini perfetti. E ha un cancro al seno, diagnosticato nei primi mesi del 2016. Ma soprattutto è l’ideatrice dell’iniziativa #iohogiàvinto, una campagna di sensibilizzazione sull’importanza della ricerca in campo oncologico, con la quale sta raccogliendo fondi per sovvenzionare i progetti di AIRC.

E’ Eleonora Magon e io oggi voglio raccontarvi la straordinaria esperienza di averla conosciuta.

Eccoci qui, Eleonora. Io ho fatto tutti i compiti per oggi, ho studiato sul tuo blog chi sei e cosa stai facendo, ma vorrei che ti presentassi dicendomi tu stessa: Chi è Eleonora? Chi pensi di essere e chi ti piacerebbe diventare?

Che domanda difficile! In questo momento è tutta una confusione. Sto vivendo questa situazione in modo surreale, a volte mi sembra che non esista. Non so veramente chi sono in questo momento. Prima ero una mamma come tante, che cercava di riaffacciarsi al mondo del lavoro perché come spesso succede le gravidanze non aiutano. Poi ho avuto la diagnosi. Nel mentre dipingo perché ho studiato arte e mi piace, ma sono ancora una mamma come tante. Ho due bambini molto desiderati, la prima avuta dopo una fecondazione assistita. E’ stato un percorso lungo, difficile e faticoso, mentre il secondo è arrivato proprio come un miracolo.

Qual è esattamente la tua diagnosi?

Non userò la terminologia medica, soprattutto perché ho fondamentalmente cercato di rimuovere molte parole, forse anche per una sorta di autodifesa. In pratica, dopo un controllo a causa di un dotto ostruito che non si scioglieva, sono emersi dei noduli che ad esami più approfonditi si sono rivelati essere 5 piccoli tumori di natura maligna, abbastanza aggressivi. La parte peggiore è stata che non sapevo da quanto fossero lì. Alla palpazione non si sentiva nulla e tra gravidanza ed allattamento erano almeno 9 mesi che non eseguivo controlli, non facevo che chiedermi “cosa ne sarà di me”. Ho eseguito alcuni esami diagnostici per verificare che non si fosse diffuso, dopodiché mi sono sottoposta all’intervento di mastectomia. Mi hanno asportato il seno ad aprile, un paio di mesi dopo la prima diagnosi. Il seno è stato completamente asportato, ho subìto l’asportazione del capezzolo e lo scavo ascellare e se devo essere sincera io preferisco così,  perché l’asportazione totale riduce comunque il rischio di recidive future.

Che tipo di terapia stai affrontando?

Al momento sto concludendo la seconda fase della chemioterapia, sono assolutamente a favore della medicina tradizionale e ho deciso di sottopormi alle cure scientificamente verificate ed accettate nel nostro paese perché ritengo che sia necessario curarsi con le terapie mediche previste, non mi è mai balenato di non sottopormi ad esse. I primi cicli sono stati molto duri, in gergo viene definita “la rossa”, la chemio più forte di tutte, si esegue ogni 21 giorni, è impegnativa e molto pesante per il corpo. Passata quella ci si sottopone poi ad un altro ciclo meno aggressivo, quello che sto facendo io è il Taxolo, una volta alla settimana. In tutto è durata 6 mesi. Lo hanno chiamato “il ciclo corto”, ti pare possibile? Io sono rimasta un po’ scioccata!

L’essere mamma di due bimbi ha influenzato in qualche modo il tuo modo di reagire alla malattia?

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photocredits: Eleonora Magon, www.lettoaquattropiazze.it

Lo ha influenzato in modo positivo , se non avessi avuto loro, invece di sorridere sempre e cantare, saltare e ballare io sarei stata perennemente arrabbiata. Avrei trascorso le mie giornate a letto a piangere. E’ stato positivo invece averli, perché mi ha costretto ad essere la mamma che c’è anche quando la mia testa è altrove. Mi ha fatto un gran bene avere due bambini da seguire, mi permette di fare finta di niente e andare avanti. Ho molti momenti di sconforto ma di solito me li prendo quando loro non ci sono, se sono a scuola o fuori, perché anche solo il fatto di doverci essere sempre per loro è faticoso, molto, e quindi te li devi prendere i momenti in cui devi tirare fuori la frustrazione o la stanchezza o anche solo lo stress di quando proprio non ce la fai più. Cerco di non farglielo pesare perché non è colpa loro, hanno già subìto tanto e tutto quello che posso risparmiare loro me lo prendo su di me.

Pensi che il tuo modo di essere mamma sia cambiato dopo la diagnosi?

Nei confronti dei bambini probabilmente no, perché ero già abbastanza morbosa, iper presente, probabilmente quello che è cambiato è il costringermi a guardarmi con i loro occhi, a pensarmi con la loro testa: a volte mi fermo e mi chiedo che mamma stiano vedendo in quel preciso momento, e magari mi accorgo che forse avrebbero bisogno di una madre diversa, cerco di raddrizzare il tiro ed è una cosa che io prima non facevo mai. Io coi loro occhi non mi ero mai guardata.

Per chi è il tuo grazie più riconoscente ora come ora?

Per mio marito e mia madre. Senza dubbio. Perché si sono fatti in mille parti per far sì che questa situazione avesse il minor impatto per tutti. Ora stanno crollando loro ed io sono un po’ preoccupata per questo perché sono i miei pilastri, se crollano loro io vado in tilt…ma è giusto così, hanno bisogno anche loro di lasciarsi andare, perché non lo hanno fatto mai..perché dalla sera che ho varcato la soglia e ho detto “è maligno” loro ci sono stati sempre, per me, per i bambini, senza mai dare alcun segno di cedimento, e senza di loro io non ce l’avrei mai fatta. Non avrei avuto la forza di andare avanti.

Come sai, di recente si sono verificati ben due casi nei quali due donne giovani hanno rifiutato di sottoporsi alle cure mediche riconosciute per seguire alcune teorie alternative. Purtroppo entrambe non ce l’hanno fatta. Tu che cosa diresti ad una donna che si presenta a te nella tua stessa situazione post diagnosi? Quale sarebbe il tuo consiglio?

Io non lo so se sono veramente in grado di giudicare le scelte altrui però spesso mi chiedo: se io non avessi avuto un legame così forte con mio marito e i miei figli, avrei davvero avuto voglia di farmi massacrare da queste terapie? Però, poi, sono molte di più le volte in cui mi sono chiesta con paura : “Chissà quanto tempo ho ancora da stare coi miei figli e con mio marito?”. Loro ci sono e i bambini non possono stare senza mamma, io non posso stare senza di loro, mio marito non deve crescerli da solo. Io voglio crescerli insieme a lui perché era questo il piano, non importa se si laureeranno, non importa se si sposeranno, ma io li devo vedere diventare grandi. E credo che da questo punto di vista, la medicina tradizionale sia l’unica via da seguire, l’unica che può dare delle garanzie. Dunque, il mio consiglio dal punto di vista delle cure non può che essere quello di scegliere le terapie riconosciute e di affidarsi a istituti o a singoli medici specializzati e coscienziosi, che si occupino della parte medica ma che prestino attenzione anche alla qualità della vita che puoi avere davanti.

Che cosa è veramente importante per una donna che ha la tua storia? A parte i legami familiari, ovviamente?

È importante amarsi sempre tanto, a prescindere. E’ una cosa per la quale mi batterò sempre, vedersi belle nonostante ti abbiano portato via una parte fondamentale e iper femminile, che è quella che fisicamente ti fa sentire donna. E quando te la portano via è dura, anche se come me sei una persona che non si è mai sentita troppo influenzata dall’estetica perché ho sempre avuto un carattere forte. Io ho detto chi se ne frega, togliete tutto, l’importante per me è esserci. Ma poi quando te lo tolgono ce ne vuole tanta di forza per digerirlo. Noi trascorriamo tutta la vita ad impegnarci per accettare gli altri come coloro che sono diversi da noi e a un certo punto succede che diventi tu quella diversa dalla te stessa che sei sempre stata.  E’difficile guardarti allo specchio, identificarti di nuovo come la persona che eri abituata a conoscere. Io ho un seno completamente finto perché ho fatto l’asportazione totale, non ho il capezzolo e mi hanno fatto lo scavo ascellare. Ho le protesi estetiche, per riuscire psicologicamente ad accettare una normalità quantomeno esteriore però quella parte è difficile, anche se la parte positiva è che finalmente stanno su da sole…

[N.d.R. Ride, Eleonora. Ha una risata così pulita e forte che ti disarma. Con lei, sei tu quella che perde ogni certezza]

… no seriamente, ci dovrai convivere per tutta la vita, se non ti ami profondamente, indipendentemente da come appari può essere molto difficile andare avanti. E poi c’è quel tasto dolente per molte: i capelli. Anche lì, non sono mai stata una patita quindi non ho mai avuto problemi ad andare senza, ma per chi ha un legame diverso e magari si fa la piega tutte le sere…è dura, si ci sono le parrucche ma poi quando arriva sera te la devi togliere…sei tu che devi imparare ad amarti, perché sei ancora tu, sei diversa da prima, ma sei tu e sei bella lo stesso, nonostante tutto. Per esempio con i bambini ho deciso di farmi vedere subito senza capelli, non ho mai indossato la parrucca perché li avrebbe destabilizzati, e sono sempre andata in giro così. Semplicemente ho deciso che non sarebbe stato un problema. Ed è vero: tu trasmetti quello che sei e quello che pensi, perché a me non è mai capitato di sentirmi osservata o giudicata o anche solo compatita.

C’è qualcosa che vorresti dire ai tuoi figli se un giorno leggessero questa intervista?

Al piccolino vorrei dire che mi dispiace avergli tolto la mamma in un momento in cui ne aveva ancora tanto bisogno. Perché stavo allattando e all’improvviso da un giorno all’altro ho dovuto smettere. Per 3 o 4 mesi non ho potuto più prenderlo in braccio, cambiarlo, ero lì ma non c’ero, e mi dispiace. A Sara, che invece ha vissuto tutto con un’altra coscienza perché le ho spiegato tutto, ha vissuto l’intervento, sa che mamma non ha più un seno, sa che sarei stata senza capelli ma che ricresceranno, che ho fatto le “punture lunghe” che fanno star male, vorrei dire che è stata proprio brava perché ha capito la situazione e ne è uscita alla grande, per quello che può capire una bambina di 4 anni.

Raccontaci il tuo progetto

Ho creato magliette, canottiere e felpe con lo slogan #iohogiàvinto: a tutta vita!, la cui vendita genererà fondi che intendo destinare alla ricerca AIRC. Le maglie sono in vendita su teezily. Tutto è nato come una sorta di mantra, la maglietta l’avevo creata per me come una sorta di supereroe, la indossavo per andare a fare la chemio perché mi sentivo protetta, perché sono una donna, una mamma: sono forte e ce la posso fare. Perché sembra che noi donne siamo deboli, ma non è così, siamo capaci di grandi cose: A tutta vita! Poi quando mi è arrivata l’ho guardata e mi sono detta che potevo provare ad unire questa cosa con una donazione più sostanziosa di quella che potrei fare da sola, solo con le mie forze.

E come evolverà quando tutta questa storia sarà soltanto un ricordo da raccontare?

eleonora-magonCredo che al mio progetto ne seguiranno altri, perché alla prevenzione e alla ricerca non smetterò mai di dire grazie. Se fossimo stati anche solo vent’anni indietro con la ricerca io non sarei qua. Anche perché la ricerca permette di andare avanti, migliorare le terapie, che fanno meglio e si sopportano anche di più. La ricerca è vita, di progetti ce ne saranno altri.

Che sostanziosità avrà la tua donazione rispetto al prezzo di acquisto?

Questo in realtà lo potrò scoprire solo alla fine, perché più riesco a venderne più si abbassano i costi di produzione delle maglie e quindi riuscirei a donare molto di più di quello che posso donare adesso, che ammonta circa a 3 o 4 euro a maglietta. Il mio obiettivo primario è poter donare almeno 500 euro, mi sembra una bella cifra come punto di partenza.

Sai, qualcuno avrebbe detto che 500 euro possono essere un bel punto di arrivo. Tu invece parli di partire da lì.. è molto bello sapere che la tua prospettiva è in divenire.

Lo è, io adesso ci sono dentro fino al collo ma comunque non ne uscirò mai del tutto. Potrà andare bene, magari per tanto tempo, ma uscirne per dire che sarò tranquilla…beh non lo sarò mai più perché non ne uscirò mai veramente. E quindi per me ora è tutto un “adesso”. Adesso io inizio, Adesso parto..e poi continuo. Qualsiasi cosa la vita mi metta davanti, con tutto quello che succederà.

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Il giorno in cui ho deciso di intervistare Eleonora Magon avevo in mente un progetto preciso.

Volevo scrivere un articolo che partisse dalle recenti morti di chi, avendo a che fare con una diagnosi di cancro o leucemia, ha preferito seguire improbabili teorie e inverosimili santoni piuttosto che affidarsi alla medicina tradizionale. La trovavo, allora come oggi, una cosa del tutto folle e volevo che Eleonora si unisse a me nel gridare forte che le cure sono vita. Che la ricerca è vita. Volevo che si facesse portavoce di un messaggio che – per quanto ovvio – sembra non essere ancora completamente chiaro a tutti.

Insomma, volevo fare un po’ la morale. La maestrina dalla penna rossa che mette i puntini sull’ovvio.

Per fortuna ho incontrato Eleonora, che in meno di un’ora ha saputo allontanarmi dalla lezione che volevo impartire agli altri, dandone a me una molto più grande. Una lezione che parla di dignità nel dolore e nella malattia, di forza di volontà, di essere madri con gli occhi dei nostri bambini. E’ una lezione di incredibile coraggio e altruismo.

Sui saluti io l’ho ringraziata per avermi dato l’opportunità di raccontare la sua storia. Lei mi ha risposto che era lei che doveva ringraziare me, perché il mio pezzo forse avrebbe migliorato la vita di altre persone:

<< veramente, anche al di là della mia iniziativa benefica, anche solo per il fatto che grazie alla tua intervista si parlerà del cancro. Ancora oggi sono tante le persone che quando scoprono di essere malate non vogliono dirlo. Vogliono fare finta che non sia mai successo, ma perché? Non hai mica fatto niente di male, perché non devi dirlo? Ecco, io credo che anche solo il fatto che se ne parli potrebbe cambiare le cose, il modo di comportarsi in queste situazioni. Anche per chi ti sta vicino e non sa cosa fare, come comportarsi. Quando qualcuno ti dice di essere malato tu non sai mai cosa dire, è un imbarazzo diffuso. Bisognerebbe aiutare le persone ad affrontare quei momenti, aiutarle a capire come stare vicino ai loro cari malati. Alla fine, è più facile quando il cancro ce l’hai: reagire, comportarti, parlare. Lo comunichi a parenti ed amici e il momento è sempre lo stesso: respiro – non sanno cosa dire – e poi dicono “mi dispiace tanto”. E tu dici : eh lo so dai..va beh, succede! E’ un po’ come col raffreddore, no? Nessuno ti dice mi dispiace per il raffreddore.  

“Mi dispiace” è un po’ troppo… no? Non è il caso >>.

Chissà se Eleonora saprà mai quanto lei, in meno di un’ora, abbia migliorato la mia.

www.instagram.com/lettoaquattropiazze/

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