E’ nella natura di tutti gli esseri umani voler comunicare con i propri simili. Gli scopi di questo desiderio di comunicare possono essere molteplici: ad esempio trasmettere una informazione, chiedere aiuto o semplicemente interagire per il solo piacere di farlo (si pensi ad esempio ad una carezza o una coccola). Ognuno di noi adotta, in modo diverso, i mezzi comunicativi che ha a disposizione: c’è’ chi parla con gli occhi, chi lo fa con le espressioni del viso, il modo in cui ci vestiamo trasmette un messaggio.
Nonostante ciò gli adulti, per comunicare, utilizzano principalmente la comunicazione verbale, trascurando tutto ciò che è la comunicazione non verbale, a torto, in quanto essa in realtà è molto più potente della prima. Nei bambini piccoli invece tale meccanismo non si è ancora instaurato, e fino a quando non acquisiscono delle buone capacità linguistiche, essi utilizzano in modo esclusivo la comunicazione non verbale.
Quali sono i mezzi attraverso i quali i bambini cercano di comunicare con mamma e papà?
Il sorriso: inizialmente nel neonato il sorriso non ha una vera e propria intenzione comunicativa. Esso è il risultato di occasionali espressioni facciali che l’adulto interpreta come un’emozione di dolore rabbia o gioia; è possibile infatti, per meglio comprendere questa affermazione, osservare i bambini durante il sonno e notare che in alcuni momenti producono dei sorrisi spontanei, chiamati sorrisi endogeni. Il sorriso esogeno, compare un po’ più tardi, verso il terzo mese di vita, e si caratterizza per essere il prodotto di uno scambio interpersonale tra bambino e adulto che si prende cura di lui. Questo tipo di sorriso diventa una vera e propria risposta sociale nei confronti delle persone che sono più familiare al bimbo, egli infatti sorriderà principalmente a mamma e papà, nonni, zii e al contrario non lo farà con lo stesso trasporto nei confronti di persone estranee. Il sorriso esogeno permette al bambino di ottenere dagli adulti una risposta comunicativa in relazione al suo modo di comportarsi, una vicinanza fisica particolare, affetto e coccole.
I gesti: mostrare, dare, indicare, aprire e chiudere la mano, guardare in successione un oggetto e l’adulto col quale il bambino cerca di relazionarsi sono azioni che posseggono, per il piccolo, un’intenzione comunicativa quale per esempio chiedere aiuto o mostrare qualcosa. I gesti vengono utilizzati quasi esclusivamente come strumento comunicativo prima che si sviluppi il linguaggio; quando, nel bambino inizia a comparire tale abilità, i gesti vengono progressivamente sostituiti con le parole.
Vocalizzi e lallazioni: nelle prime settimane di vita gli unici suoni prodotti dal bambino sono emessi in modo non intenzionale, per esempio ci sono ruttini e sbadigli; successivamente compaiono strilli, gorgogli e vocalizzi che coinvolgono oltre al bambino anche il genitore in uno scambio reciproco di suoni, ma che ancora non hanno una funzione comunicativa vera e propria. Essa compare solo dopo, attraverso la lallazione, abilità che prepara all’acquisizione del linguaggio. Attraverso le prime sillabe il bambino infatti comincia a chiamare gli oggetti e a comunicare se desidera ricevere qualcosa, per esempio una palla o un sonaglio.
Comunicare, nel regno animale, ma anche nel regno umano, significa avere maggiori possibilità di sopravvivere, in quanto permette al cucciolo come al bambino di ottenere cure, cibo e sicurezza dagli adulti della propria specie. Bimbi piccoli che cercano di comunicare in modo insistente e utilizzando tutti i mezzi a loro disposizione, riusciranno a soddisfare molti più bisogni rispetto a quei bambini che, per diversi motivi, hanno una comunicazione ridotta.
La comunicazione, abbiamo visto, avere una funzione primaria, la sopravvivenza, e una secondaria, la condivisione; tuttavia se l’ascoltatore non ha buone doti ricettive ed interpretative si rischi di scoraggiare nel piccolo tale attività.
E tu, che genitore/ascoltatore sei? Riesci ad interpretare i messaggi che il tuo bimbo cerca di lanciare?